Questo tema, ben spolverato, l'ho scritto in riferimento ad un estrapolato (belin che parolone) di Fahrenheit 451, e sfruttando l'attualità del libro, in poche parole ho fatto alcune riflessioni sul nostro presente e qualcosa di più... Buona lettura.
"L'appiattimento delle idee, delle discussioni, prive di contenuti, piene di pregiudizio, è tipico di una società che premia il profitto, il prodotto, il lavoro e non la qualità e il tempo libero.
Infatti se guardiamo la nostra società vediamo che abbiamo un sistema socio-economico che non premia anzi contrasta tutto ciò che non produce, come la cultura. Però, a differenza dalle generazioni passate, la tecnica ci aiuta a diffondere il più possibile i libri e le informazioni.
Ed è proprio questo sistema che è denunciato in Fahrenheit 451; l'unica differenza è che in Fahrenheit questo odio verso ciò che è intelligente, ciò che fa usare l'intelletto, è istituzionalizzato, ufficiale, mentre nella nostra società tutto questo è molto più subdolo e nascosto, ed è il modo più efficace: è regola base per un buon "menzioniere" non far capire di dire bugie, altra regola è che: "una bugia detta più volte diviene realtà".
Lo stesso meccanismo che avviene per la cultura, avviene per la formazione delle città: questo sistema ha distrutto la civiltà contadina per sostituirla con l'urbanesimo omologante, in questo il regime democratico è più "efficiente" dei totalitarismi.
Infatti l'omologazione che avviene in Fahrenheit passa attraverso un regime ma non è necessario ciò, perchè infatti, come si può notare nel nostro democratico paese, la lettura è un piacere di pochi, i giornali sono ridotti a una serie di titoli, la musica è solo canzonette.
Ulisse non ci capirebbe niente in questo terzo millennio, lui che è nato per virtute e canoscenze. Come potrebbe concepire un paese in cui il libro più letto è "ho voglia di te" invece dei poemi "Omerici" o chi per lui? Come potrebbe concepire un paese in cui il nuovo modello femminile è Babi invece di Nausicaa?... Dolce e accorta parola parlò: Io mi t'inchino, signora: sei dea o sei mortale?/ Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono, / Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus/ per bellezza e grandezza e figura mi sembri./ Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,/ tre volte beati il padre e la madre sovrana,/ tre volte beati i fratelli: perchè sempre il cuore/ s'intenerisce loro di gioia, in grazia di te,/ quando contemplano un tal boccio muovere a danza./ Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,/ chi soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua./ Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,/ né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince./ In Delo una volta, così, presso l'ara d'Apollo,/ vidi levarsi un fusto nuovo di palma:/ si giunsi anche là; e mi seguiva innumerevole esercito,/ via in cui m'era destino aver tristi pene./ Così, ammirandolo, fui vinto dal fascino/ a lungo, perchè mai crebbe tale pianta da terra,/ come te, donna, ammiro, e sono incantato e ho paura tremenda/ ad abbracciarti i ginocchi: ma duro strazio m'accora(...)
...Chissà se dopo esser stati per anni nell'isola di Ogigia, in questa società, dopo aver attraversato il meditteraneo, ci si scioglieranno anche a noi "i ginocchi" rivedendo terra, e, a quel punto, un dio magnanimo ci punirà buttandoci nella tempesta e noi feriti, nudi, stanchi, vedremo Nausicaa e riscopriremo la bellezza, la rude bellezza di Artemide, per poi andare a sconfiggere i proci rimasti.
chissà..."
Alberto Spatola
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