Finito di leggere Il giovane Holden vien voglia di andare a vedere che fine fanno le papere di central park; finito di leggere Gomorra vorresti aggrapparti ad un sacco di noci di cocco, come Papillon, o ad un ben più moderno frigo in una discarica, come Saviano fa nel suo romanzo-denuncia; finito Due di Due scapperesti dalla tua città fatta di inutile rumoroso grigio per scoprire la natura, anarchicamente.
Finita La guerra civile fredda di Daniele Luttazzi invece vien voglia di prendere una pagina bianca e riempirla come pare e piace.
Ovviamente la pagina bianca è metaforica.
La pagina bianca di Luttazzi è la risata, i cui margini sono i muscoli facciali e la mente.
Luttazzi, abilmente, senza compromessi, riempe questo foglio con la sua satira tagliente, fatta di battute a sfondo sessuale, politica e la critica a qualunque preconcetto.
"La guerra civile fredda" è un divertente affresco di questi anni tinteggiato da lontano, da chi, visto il clima da guerra civile fredda, non è potuto essere al centro dei cicloni mediatici, ma al margine, fatto salvo un incursione televisiva su La7 con Decameron.
Come dice lui stesso dopo la censura di Satyricon è tornato con Decameron facendo un programma dieci volte più cattivo. Quando tornerà in televisione sarà dieci volte ancora più cattivo, teniamoci forte.
Aspettando una sua apparizione televisiva leggiamoci questo libro che non fa sconti.
Se volete un Luttazzi cattivo lo avrete, sarà lì ad aspettarvi nei bordi della pagina bianca a stuzzicare i nostri pregiudizi, ma prima di tutto i suoi.
Quel che più colpisce di questo libro è come esce fuori un satiro d'altri tempi (chissà quali...) che non lascia mai nulla al caso, ogni singola lettera del libro nasconde una immensa cultura ed è sempre critico, anche nei suoi confronti, e, nonostante disponga del potentissimo mezzo della risata, non la usa per imporre la sua idea, ma con abilità fuori dal comune tenta in ogni modo, con battute volutamente scandalose, a far ragionare il suo pubblico.
Il monologo si apre con una attenta analisi della situazione politica e a colpi di battute, freddure e immagini dissacranti spiega come non si votino i programmi, le idee di un candidato o di un partito, ma come l'elettorato risponda a logiche emotive e quel che veramente importa è la narrazione, cioè come si raccontato le proprie idee trasformando i parlamentari più in personaggi che politici.
Ovviamente la destra padroneggia "la narrazione" e vince, la sinistra no.
E così snocciola gli elementi fondamentali di una buona storia, analizzando sia quella di Gesù Cristo che su di lui.
E motiva il suo successo per la sua narrazione che si basa su ciò:
"Qual è il mio ostacolo? La censura.
Il mio difetto? Mi incazzo quando mi censurano.
Cosa voglio a tutti i costi? Fare satira senza censura.
Il mio passato? Censurato mille volte.
Cosa mi rende unico? Ho un pisello grosso così!"
Non so cosa nascondano i pantaloni di Lutazzi, ma se volete scoprire cosa rende speciale Daniele Lutazzi non vi resta che leggere "La guerra civile fredda".
Finita La guerra civile fredda di Daniele Luttazzi invece vien voglia di prendere una pagina bianca e riempirla come pare e piace.
Ovviamente la pagina bianca è metaforica.
La pagina bianca di Luttazzi è la risata, i cui margini sono i muscoli facciali e la mente.
Luttazzi, abilmente, senza compromessi, riempe questo foglio con la sua satira tagliente, fatta di battute a sfondo sessuale, politica e la critica a qualunque preconcetto.
"La guerra civile fredda" è un divertente affresco di questi anni tinteggiato da lontano, da chi, visto il clima da guerra civile fredda, non è potuto essere al centro dei cicloni mediatici, ma al margine, fatto salvo un incursione televisiva su La7 con Decameron.
Come dice lui stesso dopo la censura di Satyricon è tornato con Decameron facendo un programma dieci volte più cattivo. Quando tornerà in televisione sarà dieci volte ancora più cattivo, teniamoci forte.
Aspettando una sua apparizione televisiva leggiamoci questo libro che non fa sconti.
Se volete un Luttazzi cattivo lo avrete, sarà lì ad aspettarvi nei bordi della pagina bianca a stuzzicare i nostri pregiudizi, ma prima di tutto i suoi.
Quel che più colpisce di questo libro è come esce fuori un satiro d'altri tempi (chissà quali...) che non lascia mai nulla al caso, ogni singola lettera del libro nasconde una immensa cultura ed è sempre critico, anche nei suoi confronti, e, nonostante disponga del potentissimo mezzo della risata, non la usa per imporre la sua idea, ma con abilità fuori dal comune tenta in ogni modo, con battute volutamente scandalose, a far ragionare il suo pubblico.
Il monologo si apre con una attenta analisi della situazione politica e a colpi di battute, freddure e immagini dissacranti spiega come non si votino i programmi, le idee di un candidato o di un partito, ma come l'elettorato risponda a logiche emotive e quel che veramente importa è la narrazione, cioè come si raccontato le proprie idee trasformando i parlamentari più in personaggi che politici.
Ovviamente la destra padroneggia "la narrazione" e vince, la sinistra no.
E così snocciola gli elementi fondamentali di una buona storia, analizzando sia quella di Gesù Cristo che su di lui.
E motiva il suo successo per la sua narrazione che si basa su ciò:
"Qual è il mio ostacolo? La censura.
Il mio difetto? Mi incazzo quando mi censurano.
Cosa voglio a tutti i costi? Fare satira senza censura.
Il mio passato? Censurato mille volte.
Cosa mi rende unico? Ho un pisello grosso così!"
Non so cosa nascondano i pantaloni di Lutazzi, ma se volete scoprire cosa rende speciale Daniele Lutazzi non vi resta che leggere "La guerra civile fredda".
Alberto Spatola
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