Nel 2010 i giovani erano una generazione senza voce, tutti si chiedevano dove fossero: ci pensavano sonnolenti per via di anni di TV.
Nel 2011 abbiamo guadagnato spazio, è ora chiaro a tutti che i giovani esistono. Con la primavera araba, con gli indignati di Stati Uniti e Spagna, coi tanti precari che chiedono futuro e, non ultimi, con gli “angeli del fango”, i giovani partecipano, fanno originali e interessanti proposte, portano avanti legittime richieste, si sporcano le mani.
Se continueremo a percorrere questa strada, col 2012 arriverà il momento in cui i giovani non avranno solo voce, ma terreno fertile per le loro idee e la capacità di rappresentarle nella società.
La “generazione del futuro” di fronte all'anno prossimo si fa molti auguri, pur consapevole che non è un'epoca di sogni da realizzare, ma, per il momento, di conquiste da difendere.
I giovani vorrebbero, svegliandosi dalle baldorie di San Silvestro, aver la possibilità di conquistare un posto di lavoro e avere uno Stato che investe nell'istruzione: perché i cittadini, ancor di più se giovani, non devono sentirsi voci di bilancio, ma membri di una comunità.
La mia generazione vorrebbe, masticando il carbone della prossima epifania, poter costruire una politica che inizi ad affrontare grandi questioni, per esempio il tema del cibo, tra le radici profonde delle rivoluzioni mediorientali, il tema della cementificazione e la tutela del verde. Per poter toccare questi argomenti, i giovani vogliono la possibilità di influire sulle scelte del paese: i ragazzi chiedono partecipazione!
Gli auguri che i giovani si fanno per l'anno prossimo sono ben più numerosi dei pochi da me scritti, ma ho scelto solo questi auspici perché non c'è maggiore originalità, in questa generazione, che nel voler uscire dalle brutture delle città riscoprendo i territori, e, al tempo stesso, nel sentirsi globalizzati e figli di un'unica cultura europea.
Per capire se queste speranze, volute con impazienza, porteranno con sé qualche sbaglio dovremmo superare ancora molti “San Silvestro” e mangiare altro carbone, intanto non ci resta che lottare.
Alberto Spatola
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